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Channel: VANGELO DEL GIORNO
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MERCOLEDÌ DELLA V SETTIMANA DI QUARESIMA

I figli di Abramo camminano nella vita con gli occhi di Abramo che si riflettevano nel figlio Isacco mentre lo fissavano salendo l'erta del sacrificio, identici a quelli di Dio riflessi in quelli del Figlio sulla Via del Calvario. Sono i figli di Dio legati ma liberi per amare.
Ricordiamoci che veniamo lavati una volta sola; una volta sola veniamo liberati; e una volta sola entriamo nel Regno eterno. Una volta sola sono «beati quelli a cui sono rimesse le colpe e perdonato il peccato». Tenete ben stretto quello che avete ricevuto,
conservatelo nella gioia, non vogliate più peccare. Conservatevi puri e immacolati per il giorno del Signore.

San Paciano
FIGLI DI ABRAMO LIBERATI DA CRISTO PER VIVERE NELLA VOLONTA' DEL PADRE

Il Vangelo di oggi parla a noi, "quelli che avevano creduto in Lui". Ed è vero, in Abramo siamo stati chiamati anche a noi, figli di Dio creati con il suo stesso Dna.

Ma ascoltando una Parola diversa da quella che ci ha chiamati all'esistenza abbiamo contratto un virus maligno che ha danneggiato il Dna spirituale, e ora una malattia genetica ha mutato la nostra identità. Invece delle opere di Abramo ecco quelle di un altro padre, del demonio che ci ha generati schiavi della menzogna con la quale ci ha spinto a peccare.

Tutto quello che è pensato e compiuto senza amore, infatti, è peccato. La reazione dei Giudei del Vangelo alle parole di Gesù palesa il loro e il nostro cuore.

E' infatti la stessa che abbiamo quando qualcuno ci annuncia la Parola di Verità del Vangelo: essa è l'unica che ha il potere di guarirci perché, individuando e diagnosticando il morbo che ci ha aggrediti può distruggerlo e ricreare in noi il Dna divino sul quale crescere nella libertà di amare.

E invece, come Caino, ci rattristiamo, innamorati e gelosi del nostro ego. Al punto che la superbia ferita inizia a schiumare ira e l'ira compie quello che non vorremmo: uccidere Cristo incarnato in chiunque contesti la nostra vita e i nostri criteri.

Ma coraggio, la Parola di Dio ci è di nuovo annunciata nella Chiesa, anche oggi. Ascoltiamola senza indurire il cuore e attraverso la predicazione potremo accogliere, poco a poco, la fede per la quale e nella quale siamo stati generati: quella dei figli di Abramo ricreati in Cristo.

Essi, condotti da Lui sul cammino della conversione, come il figlio prodigo "vivono sempre nella casa di loro Padre", dove imparano la libertà di amare senza condizioni.

Nella comunità cristiana ascoltano la sua Parola nella quale conoscono la Verità che li illumina per seguire l'Agnello ovunque vada per compiere nella storia il suo Mistero Pasquale in loro. Sono "davvero" discepoli di Gesù che "rimangono fedeli" al Padre perché fluisce in loro il sangue del loro Fratello Primogenito, nel quale possono custodire in ogni istante la Nuova ed Eterna Alleanza.

Come Abramo hanno imparato a sperare contro ogni speranza perché, pur vedendo tante volte morta la propria carne a causa dei peccati, hanno conosciuto la misericordia che ridona la vita ai morti.

Per questo si affidano completamente al Padre: la loro fede, infatti, ha nella carne il suo memoriale indistruttibile perché, come Abramo, stringono tra le braccia Isacco, il figlio della promessa compiuta, la testimonianza della fedeltà di Dio.

In loro cioè è vivo Cristo, e lo amano perché in Lui sono guariti dal virus malefico che li aveva deturpati. Sono figli rinati nel Figlio, al punto che possono salire il Moria nella notte della fede, tremare e fissare negli occhi il cuore del loro cuore - quell'affetto, quella persona, quel desiderio, quel sogno, quel progetto - pronti a "sacrificare" tutto (a "fare sacro", a "separare" e offrire a Dio) anche la persona più cara.

I figli di Abramo camminano nella vita con gli stessi occhi di Abramo che si riflettevano nel figlio Isacco mentre lo fissavano salendo l'erta del sacrificio, identici a quelli di Dio fissi e splendenti in quelli del Figlio sulla Via Dolorosa del Calvario.

Per questo i figli di Abramo sono, come Isacco, pronti ad essere sacrificati, legati alla volontà di Dio come Cristo sulla Croce. Sono liberi nello stesso amore che su di essa li ha liberati e li spinge a donarsi perché in gioco c'è la salvezza del mondo.

Per essa offrono la propria gola al Padre entrando nell'assurdo estremo confidando che Egli sul monte provvede, sempre. Così i figli di Dio rivelano e testimoniano sulla terra la fede nella quale sono stati generati, quella che salva il mondo vincendone l'odio con l'amore.
Scriveva il drammaturgo austriaco Franz Werfel “per chi ha fede nessun miracolo è necessario, per chi non ha fede nessun miracolo è sufficiente”; l'unico miracolo che può strappare chi non crede alla menzogna è infatti la fede di Abramo e di Isacco che apre il Cielo al quale è impossibile credere se qualcuno non ne mostra l'esistenza attraverso una prova inoppugnabile.

La Pasqua è la prova fratelli, il Mistero che, facendoci passare dalla morte alla vita che non muore, ci libera dalla paura per testimoniare il destino che attende ogni persona consegnando il frutto della vittoria di Cristo a tutti, amici e nemici.

Chi potrebbe lasciarsi togliere la vita perdonando e benedicendo i suoi assassini? Solo chi ne ha una riserva infinita, proprio come il Cielo che il demonio ha chiuso dinanzi al mondo. La vita di Cristo che la Chiesa ci dona attraverso la Parola e i sacramenti, la vita divina che ricolma i figli rinati nelle acque del Battesimo.
GIOVEDÌ DELLA V SETTIMANA DEL TEMPO DI QUARESIMA

"Prima che Abramo fosse", prima che iniziasse la nostra storia, e dolori, ingiustizie, frustrazioni, prima di quel che siamo e di peccare, Gesù è "Io sono" per sempre nell'amore. Quel prima è l'eternità in cui siamo amati da sempre e per sempre, in cui vi è quest'oggi da vivere in Lui.
L’espressione "vita eterna" non significa la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. "Vita eterna" significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. È ciò che interessa: abbracciare già fin d’ora la "vita", la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno.

J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, volume II
SUL GOLGOTA PER VEDERE IL GIORNO DI CRISTO RISORTO NELLA NOSTRA VITA

"Chi custodisce la mia Parola non vedrà mai la morte". Ecco il modo per vedere la vita di Cristo, quella che non finisce, dentro la propria vita.

E come si fa a "custodire la Parola" di Gesù? Come Abramo. Anche lui vedeva solo morte: non aveva un figlio a cui donare se stesso in eredità, non aveva una terra a cui consegnare il proprio corpo per il riposo.

Ma proprio qui la Parola di Dio è scesa dal Cielo come una chiamata trasformando quell'al di là di morte che lo attendeva in un futuro colmo di vita. Qui Abramo ha cominciato a "vedere il giorno di Gesù", che è appunto "vedere la vita" in ogni giorno: giunto a Canaan, la terra che Dio gli aveva promesso, stringeva tra le braccia Isacco, la vita scaturita dalla sua carne morta.

Eppure non era ancora questo il giorno di Gesù nel quale rallegrarsi. Ad Abramo mancava qualcosa, come a ciascuno di noi. Abbiamo sperimentato il suo amore che, perdonando i peccati, ha ridato vita a molte cose di noi. Ancora non basta per "non vedere più la morte".

Come ad Abramo, ci manca l'esperienza decisiva dell'amore pieno e incondizionato, frutto della notte oscura della fede, la più dura, l'unica nella quale si può "vedere" la luce della Pasqua che cancella per sempre la morte nel giorno eterno del Messia Gesù. La notte del Moria, nella quale Dio ha condotto Abramo quando gli ha chiesto di sacrificare Isacco.

Mamma mia che crudeltà... Può Dio chiedere una cosa del genere? "Chi si crede di essere?" potremmo dire, come i giudei fecero con Gesù.

Ma coraggio, proprio oggi e in questi giorni che ci separano dalla Pasqua, possiamo fare la stessa esperienza di Abramo, e "vedere il giorno di Gesù”. Appoggiamoci alla Chiesa, confessiamo la nostra superbia, e cominciamo ad obbedire, a salire il Moria dove offrire a Dio il nostro Isacco.

Tu sai che cos'è. Prendi quello che ami, a cui tieni di più, che desideri più intensamente, e deponilo sull'altare, che è la mano di Dio tesa verso di te. Lascia a Dio la tua vita "custodendo" la sua promessa che non vedrai più la morte.

Perché così accadrà, come ha sperimentato Abramo, che ha imparato a “sorvegliare, proteggere, amare” la Parola e per questo ha riavuto Isacco. Dopo l’intervento dell’angelo, infatti, Abramo, secondo il Targum, ha chiamato quel luogo: "Qui il Signore fu visto".

Al culmine dell'angoscia Abramo ha visto che "Dio è favorevole", ha visto il giorno di Cristo nel quale Dio gli è stato favorevole risuscitandolo dalla morte, lo ha visto in quel suo giorno che doveva essere di morte.

Sì, è impossibile ma non a Dio che lo rende possibile attraverso l'ascolto e il "custodire" la sua Parola come la Vergine Maria. La Parola che illumina i fatti e ci indica come e dove offrirci alla sua volontà.

"Prima che Abramo fosse", infatti, prima del nostro matrimonio, dei figli, del lavoro, del nostro carattere e dei nostri difetti, del nostro corpo, "prima" ancora che peccassimo e di subire quell'ingiustizia, Gesù è "Io sono", ovvero amore incondizionato ed eterno per ciascuno di noi.

E se ci ha amato "prima" non ci amerà ora, e domani, e sempre, donandoci la sua vita immortale proprio dove e quando la morte ci fa più paura?
SABATO DELLA V SETTIMANA DEL TEMPO DI QUARESIMA

Nella Croce di Cristo, dove risplende l'Innocente consegnato alla morte, ogni innocente crocifisso diviene il tesoro più prezioso che vi sia su questa terra. Nel loro sangue vi è quello di Gesù che, misteriosamente, cola nella storia e, dalla loro croce, giunge a ogni peccatore.
Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede.

Benedetto XVI, Pasqua 2006
Morire per – hypér, è questo il senso primo ed ultimo della nostra vita, il valore che la sostiene e la rende feconda; calcolare, considerare, riconoscere negli eventi che ci contrastano, nelle ingiustizie, nel volto del nemico, nel male che ci coinvolge, la volontà di Dio preparata perché la nostra vita dia frutto.

Il dolore innocente che scaturisce dalla banalità del male, trova nelle parole del Sommo Sacerdote il senso nascosto che solo la fede è capace di decifrare. La fede che nasce dall'esperienza, nella propria vita, del senso che ha avuto il sacrificio di Gesù, l'innocente che ha attirato su di sé il castigo diretto a noi colpevoli.

Nell'offerta di Cristo, nella sua consegna per tutti gli uomini, nel compimento misterioso di questo amore attraverso i secoli nei martiri noti e sconosciuti, nelle piaghe della Chiesa Corpo di Cristo che si carica con il peccato del mondo, nell'interminabile teoria dei piccoli fratelli e discepoli di Gesù che, silenziosamente, recano impresse le stigmate del Servo di Yahwè, ogni dolore innocente ritrova il suo senso.

Nell'innocenza del Figlio consegnato alla morte, ogni sangue innocente diviene il tesoro più prezioso che vi sia su questa terra. In esso è racchiuso il sangue di Cristo, che, con ogni innocente, porta sulle spalle e nella carne il peccato delle generazioni, per condurre ogni uomo al Cielo.
MARTEDÌ DELLA II SETTIMANA DI PASQUA

Nella Chiesa, rinascendo nello Spirito Santo, riceviamo lo sguardo di Gesù capace di oltrepassare l'apparenza per vedere, nella debolezza della carne, l'opera che Dio può compiere in ciascuno. E così convertirci per accogliere l'amore di Dio che trasforma il peccatore in un santo.
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2024/06/12 05:04:03
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